Come noto il compenso al curatore, analiticamente determinato sui valori dell’attivo realizzato e del passivo accertato, trova pratica applicazione nell’ambito di una “forbice” tra un minimo ed un massimo conseguente alla valutazione di alcuni parametri previsti dal decreto ministeriale e, primo fra tutti, l’opera prestata, ossia il lavoro svolto. Troppo spesso però, specie per le procedure in cui il valore dell’attivo realizzato è scarso, il compenso potenzialmente liquidabile non consente la effettiva remunerazione dell’opera prestata, anche in applicazione della misura massima prevista, con l’aggravante che i tribunali non sempre tengono conto della corretta valutazione di tale specifico parametro e della conseguente necessità a liquidare quantomeno il massimo. La questione appare quindi necessaria di un’analisi accurata circa la concreta applicazione del parametro relativo alla remunerazione dell’opera prestata dal curatore, anche in uno alla facoltà del tribunale a derogare in eccesso il limite massimo previsto dal D.M., in costanza di una sua palese quanto concreta insufficienza rispetto al valore di detta opera e di un attivo che comunque possa consentirlo.